La mia famiglia è sempre stata, almeno nell’ intenzione, cattolica, religiosa, praticante, cristiana insomma in una parola “fedele” a qualcosa. Quel qualcosa che io stessa ho cercato fino all’adolescienza, momento in cui, non so quanto coscientemente, ho deciso di spingere via. I dilemmi religiosi e spirituali sono stati spesso argomenti da cui sono scappata, accantonandoli nei cassetti più reconditi della mia mente.Ho sempre cercato di evitare lotte interiori, pensando che quello che allontanavo avrebbe finito di esistere. In realtà il passare degli anni, e qualche accadimento drammatico, ha fatto riaffiorare in me dilemmi irrisolti.Non c’è stato un momento in cui ho capito che avrei dovuto affrontare i miei demoni personali o forse c’è stato ma non è stato un solo momento. Di risposte non avevo, di domande invece ne ero piena. Quando si evita di cercare delle risposte, almeno per me è stato cosi, i sentimenti di ansia e depressione tendono a manifestarsi in modo più intenso rispetto a quando li si affronta a testa alta. Le persone che avevano delle risposte mi sembravano più sane, più stabili rispetto a me che invece quelle risposte non le avevo mai cercaree limitandomi a prendere in prestito quelle degli altri quando proprio non potevo farne a meno. Poi come spesso capita ti trovi di fronte a situazioni che spesso non hanno soluzioni e che difficilmente riesci ad accettare logicamente. E difronte a quelle situazioni ho capito che dovevo per forza dare un senso ai disordini che avevo dentro. Non pretendevo di avere risposte universali, però ero certa che lavorare sui misteri irrisolti che popolavano la mia anima mia vrebbe permesso di tollerare la loro presenza. Non volevo nemmeno riempire lamia testa di risposte preconfezionate, non mi bastava che qualcuno mi dicesse che c’era una sola risposta alle mie domande. Volevo tante risposte alla stessa domanda e ne volevo capire il motivo per poi scegliere la “mia”. Complicata,così mi sentivo quando cercavo altro spingendomi oltre l’ovvio. Perché devi fare tante domande? Mi diceva mia madre, convinta che con la fede si crede e basta. A me quel basta invece non mi piaceva. E più cercavo, più trovare una risposta diventava difficile. Eppure ero convinta che la conoscenza mi avrebbe permesso di avere meno paura di quello che non riuscivo a capire. Ma prima bisognava capire quello che mi spaventava. La morte? Il non credere nel Dio che mi era cosi famigliare? o forse il crederci senza una spiegazione razionale? Sposarsi, avere un figlio perché la società a noi donne ce lo impone? Mettere al mondo dei figli “serve” per sentirsi completi o la piena realizzazione del proprio essere si può raggiungere anche senza voler vivere l’esperienza della maternità? La genitorialità è l’unica discriminante valida per poter essere considerati individui “totali”, e perché ci si dovrebbe sentire “meno” se non si ha per natura tale inclinazione o volontà? Ad un certo punto della mia vita domande di questo genere erano diventate forse le uniche domande che mi tormentavano. Molto spesso, chi sceglie, con consapevolezza e piena razionalità, di non volere figli, si sente quasi automaticamente sottoposto al pubblico giudizio, e praticamente in obbligo di motivare la propria decisione. Ed era cosi che mi sentivo nei momenti di sconforto, quando quelle risposte proprio non riuscivo a trovarle. C’era sempre una vocina, incazzata, dentro di me, che si chiedeva il perchè a nessuno veniva chiesto il motivo per cui desidera avere figli? e perché invece, sul versante opposto, il non desiderio di diventare genitore doveva costantemente essere giustificato, spiegato, come fosse un’anomalia della specie, un evento eccezionale e non naturale? Ero talmente incazzata che non riuscivo più a vedere il mondo che mi circondava,quasi ero ferma, immobile. Ero salita sul treno che ad un certo punto si era fermato senza però permettermi di scegliere se rimanere in corsa o scendere.Quella porta non si apriva, come tutte le porte della mia mente. O ero io a non volerle aprire per non avere l’opportunità di scegliere se continuare il viaggio o scendere alla stazione? Era comodo convincermi che era la porta del treno a non aprirsi, era comodo non prendermi la responsabilità di scegliere.Fare finta che era qualcun’altro a decidere per me, o che semplicemente era solo il caso che non mi permetteva di fare quella scelta. Comodo perchè non mi sentivo mai responsabile.
…segue..